lunedì 28 ottobre 2013

In poche parole...più e più volte addio



Correte. In libreria. O su Ibs.
Ma non lasciatevelo sfuggire.
Si chiama Catalogo degli addii. Lo ha scritto Marina Mander e lo ha riempito di “quadri” Beppe Giacobbe.
Già la dedica uccide: “A tutti quelli a cui, senza volerlo, abbiamo detto addio”.
Asciugate le lacrime, volti pagina. E…
Nina Dermar vive e lavora a Parigi per le Editions Plaisance. Su Le Monde pubblica la seguente inserzione: “AAA. Cercasi redattore di sesso maschile per lettere d’addio (congedi d’amore, scuse in bella prosa e altre amenità).”
Peter Faraway è a San Francisco. “Credo di essere l’uomo che lei cerca. Per mestiere scrivo qualsiasi cosa. Per vocazione lascio quasi tutto. (…) Sperando di non incontrarla mai (per non doverla mai lasciare).”
227 pagine di addii. 227 evocazioni illustrate.
Struttura assolutamente perfetta. Ironica. Spartana. Commovente. Sorprendente.
I suggerimenti per un addio che valga la pena dureranno poco più di un anno. Le indicazioni di Nina ( “1. Il contrario dell’amore non è l’odio, ma l’addio. 2. Ogni addio nasconde un inganno.). Il fiume in piena di Peter.
Il mistero di ogni addio, di ogni incontro. L’impossibilità di spiegare perché, ad un tratto, si va via. Quando le parole non dicono più quello che vorresti ascoltare. Quando stonano. Quando feriscono.
Uccidono. Armano la mano per la vendetta del cuore, che è solo pianto, lutto.
Questo libro si può leggere dalla prima all’ultima pagina oppure si può aprire a caso. Si legge in mezz’ora nemmeno e poi puoi restare ore a guardare uno schizzo di Giacobbe perdendoti nei tuoi, di addii.
Ovviamente la sorpresa c’è. Ovviamente nessun lavoro. Solo Nina. Che non ha mai dimenticato Peter. Che un giorno, tanto tempo prima, è andato via, così.
Lui proverà ad insistere, poi. Rivederla. Rivedere Parigi, dove si sono amati, dove si erano giurati “è per sempre”. Lei: “Peter, Parigi è tanto cambiata in questi anni. Perché venire qui a farsi del male?”.
Peter, arrogante, sicuro che basteranno ancora le parole - è un maestro, in questo - a sistemare le cose: “L’addio altro non è che una bestemmia pronunciata tra noi, diventati sufficientemente disincantati da non farci turbare”.
“Caro Peter, l’addio non è mai innocente. Nina. 15 marzo 1994”
“Signorina Dermar, non ricorda? E’ stata lei a scegliermi, per fare degli addii – è una sua espressione – facile commercio”.
“No Peter. Ricordi? Sei stato tu. E senza nemmeno la decenza di lasciarmi due righe scritte. Addio, N.”
Allora. Vi ho detto tutto. E non vi ho detto niente.
Ripeto. Correte.
Che siate stati voi, ad andare via senza dire una parola. Che vi abbiano detto ti amo voglio stare con te per sempre per poi sparire un attimo dopo. Non importa. Correte comunque.
Questo non è un libro, non è un fumetto, non lo so cos’è…
so solo che è meraviglioso.

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mercoledì 2 gennaio 2013

Mio blu


Mio blu - dicevi -
mio blu.


Lo sono.
E anche più del cielo.
Ovunque tu sia
io ti circondo.



Ghiannis Ritsos

venerdì 31 agosto 2012

Gloria! Martini è nato!



Si è spento il cardinale Martini.
Enrico Letta, si legge su repubblica.it, esprime dolore e cordoglio. E' solo uno dei tanti, ovviamente.
Siamo tutti pazzi.
Quell'uomo, mi riferisco al cardinale, aspettava questo momento da una vita.
Può anche dirti, il tuo amore, vivi e diffondi la mia parola.
Ma se ami è con quella persona che vuoi stare.
La fede vera è un dono per pochi. Chi non ce l'ha, praticamente tutti, ecco cosa combina.
Piange in un momento di gioia assoluta.

Quindi.
Io direi.
Facciamo festa.

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Insiste sul mondo un tempo fatto di piogge e uragani.

Vorrei vedere ;-).

(Ehi, lassù???? Perdonatemi la battutaccia, ok?)




La crisi è la più grande benedizione

Latina - Mai naufraghi - Foto: Tiziana Pasetti

Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.
La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi.
La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura.
E’ nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie.
Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere ’superato’.

Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza.
L’ inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita.
Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia.
Senza crisi non c’è merito.
E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo.
Invece, lavoriamo duro.
Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.

Albert Einstein


giovedì 24 maggio 2012

Il senso di ogni cosa




Quanto più calmi, pazienti e aperti noi siamo nella tristezza,
tanto più profondo e infallibile entra in noi il nuovo,
tanto meglio noi ce lo conquistiamo,
tanto più sarà nostro destino.
...
Noi siamo soli.

Ci si può ingannare su questo
e fare come se non fosse così. E' tutto.

Ma quanto è meglio comprendere
che noi lo siamo, soli,
e muovere di lì.
Allora accadrà che saremo presi dalle vertigini.

Non dovete sgomentarvi se una tristezza si leva davanti a voi,
grande come ancora non ne avete viste,
se un'inquietudine,
come luce e ombra di nuvole,
scorre sulle vostre mani e su quanto voi fate.

Dovete pensare che qualcosa
accade in voi,
che la vita non vi ha dimenticato,
che vi tiene nella sua mano;
non vi lascerà cadere.

Rainer Maria Rilke, agosto 1904. Lettere a un giovane poeta

mercoledì 11 aprile 2012

Incontriamoci all'alba, Mr Gwyn...

Ognuno ha le proprie. Manie. Compulsioni. Fissazioni.
Quasi sempre non è amore, quello che ci lega all'oggetto della nostra bramosia. E' qualcosa di inconcepibile e non spiegabile.
Alessandro Baricco è una delle mie.
E' un mestierante dell'arte della scrittura come pochi altri. Un furbo artefice del nulla. Un affabulatore musicalissimo. Non penetra senso nella sua architettura ingegneristica degli spazi ma segna attimi di sublime perfezione semiotica.

Della trama di Mr Gwyn (scrittore e copista) possiamo tranquillamente fare a meno. Non serve a nulla, come sempre in Baricco. E' funzionale ad altro. E' dimenticabile. Però come fiori e pensieri volano queste righe...

"...situazione nota a molti umani, ma non per questo meno dolorosa: ciò che, solo, li fa sentire vivi, è qualcosa che però, lentamente, è destinato ad ammazzarli."

"In amore mentiamo tutti".

"Morire è solo un modo particolarmente esatto di invecchiare".

"...scivolare in un isolamento che altri avrebbero interpretato come un declino, ma che lui tendeva a vivere come un sollievo".

"...era finalmente sola, in un modo perfetto, come soli non si è mai - o di rado (...) in qualche abbraccio d'amore".

"...si ricordò di come qualsiasi incantesimo sia fragile oltre ogni dire, e velocissima la vita nel suo rapinare".

"...la condanna di quelli, molti, che non sono capaci di toccare senza far male".

"Di cosa siamo capaci (...). Crescere, amare, fare figli,invecchiare; e tutto questo mentre anche siamo altrove, nel tempo lungo di una risposta non arrivata, o di un gesto non finito. Quanti sentieri, e a che passo differente li risaliamo, in quello che sembra un unico viaggio".

La scrittura è un gioco di prestigio, tra le mani di Alessandro Baricco, romanziere che di tale eresia riesce a convincere tutti :-).

Mr Gwyn, dicevamo. Scrittore e copista. Ritrattista. Akash Narayan. Tre volte all'aba, la sua unica opera.

"...gran parte della gente sogna di ricominciare da capo (...). In realtà quasi nessuno, poi, ricomincia da capo davvero, ma non si ha idea di quanto tempo la gente passi a fantasticare di farlo, e spesso proprio mentre è nel bel mezzo dei suoi guai, e della vita che vorrebbe lasciare. (...) Ho capito che non si cambia veramente mai, non c'è modo di cambiare, come si è da piccoli si è tutta la vita, non è per cambiare che si ricomincia da capo. (...) E' la solita storia, è l'uomo della mia vita e io sono la donna della sua vita,tutto lì, solo che non siamo mai riusciti a vivere insieme (...). Non è neanche detto che se ami davvero qualcuno, ma tanto, la cosa migliore che puoi farci insieme sia vivere."

"...la misteriosa permanenza dell'amore, nella corrente mai ferma della vita".

giovedì 5 aprile 2012

L’Aquila e Maurizio Maggiani. Un destino da costruire con le mani (Intervista video)



L'Aquila, 4 apr 2012 - A tre anni dal sisma che il 6 aprile 2009 ha colpito il capoluogo abruzzese tornano ad accendersi i riflettori sull’Aquila. Trasmissioni televisive, articoli e reportage su tutti i giornali, cartacei e on line. Le immagini e le testimonianze sono infinite, come le storie di chi quella notte c’era o di chi con quelle storie si è incontrato o scontrato, più o meno per caso.
Si può ricordare e rendere omaggio alla memoria in tanti modi. 
Tra le tante persone che in questi mesi hanno visitato questo luogo sospeso, lo scrittore Maurizio Maggiani
Forse dalle sue parole è possibile trarre una qualche consolazione, una qualche speranza. 

«Cosa vuol dire sperare?»
«Sperare vuol dire costruire. Io sono un uomo  speranzoso perché sono stato educato ad esserlo. Sono partito molto in basso, in graduatoria. Però lì in fondo non c’è mai stata l’impressione della miseria, della povertà dello spirito, delle proprie capacità o del proprio destino. Siamo anarchici, la mia terra lo è geneticamente, quindi ci crediamo poco che esista un solo destino; crediamo che ce ne siano almeno due, quello che ci viene  imposto e quello che per cui dobbiamo lottare.
Sono sempre stato educato da uomini e da donne, soprattutto da donne perché sono le più vicine alla vita di un ragazzo, sono stato educato a costruire con le mani il destino; e quando FAI la tua vita, allora non puoi che essere speranzoso, perché altrimenti sei un cretino, uno sconfitto, uno che non può che soccombere. Non sono mai stato, nella mia vita, indotto a pensare alla sconfitta, che è una tragedia dalla quale non hai più possibilità di emanciparti.
Di sconfitte ne abbiamo avute tante, ma siamo ancora qui, vivi, e siccome siamo vivi tutto quello che abbiamo da fare è costruire il destino. Questa è la speranza»

«La speranza è singola o si realizza nella collettività?»
«C’è una cosa che dicono tutti: che si stava meglio nelle tende che nelle case provvisorie. Io non credo che nelle tende si stia tanto bene, ma lì accadeva qualcosa che nelle case provvisorie non succede. Nelle tende hai per forza di cose un contatto continuo con gli altri e questo contatto continuo dà origine ad un continuo colloquio, un continuo parlare ed è questa disponibilità continua a parlare che manca oggi nelle case provvisorie.
Dormire, mangiare, bere, fare l’amore, parlare…queste sono condizioni irrinunciabili. Come costruisci il grande universo dell’amore, del cibo, il grande racconto del sonno, così costruisci il grande racconto del parlare, costruisci questa incredibile architettura dove dentro ci sei tu che hai bisogno di dar voce alla tua vita; e la tua vita è il farsi continuo di tutto quello che è venuto prima di te e che è venuto per farti, per abitarti, per fare di te quello che tu ora sei. Quindi tu sei non solo te stesso ma sei anche la memoria di tutto quello che ti ha generato».
«Nei tuoi libri ci sono stratificazioni di epoche, ci sono immagini, quadri. C’è l’amore. Tu dici che l’Appennino è una via, è una casa. L’Appennino è anche, però, una cicatrice, una ferita. Lo è anche l’amore?»
«Se l’amore non fosse una ferita sarebbe una tragedia perché ristagnerebbe e quindi marcirebbe. L’amore è quella vena di sangue che non deve fermarsi mai, deve sempre gocciare…goccia di sangue, goccia d’amore. E’ una ferita aperta. E’ il nostro dolore, la nostra fortuna. E’ il nostro sangue che se ne va per l’universo. Se smettesse di scorrere diventerebbe pus».
«Allora l’Appennino è ferita e amore insieme?»
«Sì…è la nostra amorevole casa».

mercoledì 14 marzo 2012

Tragedia nel Vallese e pancioni

Dopo la tragedia delle 28 vittime nel canton Vallese su fb imperversa la rincorsa alle frasi ad effetto e alle processioni con immagini di ceri etc etc. 
Mi colpisce
quanto segue:
una persona scrive "una carezza alle vittime, angeli etc etc". Ok. Una carezza. Può starci.
Una sua conoscente risponde: "Ciao bella come va il pancione?"
Adesso. E ditemi pure che sono cinica NON ME NE FREGA UN C****.
Se tu stai parlando con una persona face to face e questa ti dice "sai, sono morte dieci persone in un brutto incidente blablabla"
tu
gli rispondi, per caso
"aho, bella, 'mmazza che panza, quanno sgravi?"



Questo solo per dire
che facebook è un luogo dove avvengono cose davvero strane. Insensate. Sciatte. Superficiali. Offensive.

Io non mi limiterei alla foto o al nome di una persona. Prima leggerei. Valuterei, prima di dar fiato alle trombe. 
Questo, però, lo farei anche nella realtà ormai virtuale che sarebbe quella esperienziale ;-).

Detto questo,
alle vittime
alle famiglie

il mio silenzio.