domenica 10 maggio 2009

Alla ricerca del capoluogo perduto


La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto” (R. Cotroneo)
Quando, era inizio Marzo 2009, Roberta mi ha invitata a partecipare, in qualità di Sociologa, al suo nuovo programma televisivo, nulla, ovviamente,asciava presagire quanto poi sarebbe accaduto meno di un mese dopo.



Trovammo insieme il titolo della trasmissione. L’ennesimo richiamo a Proust. Semplice. E necessario. L’Aquila era, e non parlo al passato per errore, capoluogo anomalo. Nascosto. Timido e intimidito. Perduto. Nel senso proustiano, del termine. Quel “perdu” del titolo originale intorno al quale tutta la critica si è a lungo soffermata. Quel tempo perduto. Sprecato. Incompiuto. Rovinato. Deturpato. Distrutto.
Perduto. Sprecato. Incompiuto. Aggettivi perfetti, per descrivere la condizione del capoluogo abruzzese. E questo al di là del 6 aprile.
Rovinato. Deturpato. Distrutto. E qui le parole vengono meno. Si chiude la gola. Si ingolfa il cuore.
Alle 3 e 32 di lunedì 6 aprile la Terra ha espresso, in uno dei suoi tanti modi, sé stessa. In quello stesso istante, per una comunità, è stata la distruzione. Meglio. E’ stato l’inizio di una distruzione dall’estensione semantica estremamente ampia. Distruzione architettonica. Distruzione di vite, di affetti. Distruzione temporalmente situata. C’è una data. 6 Aprile 2009. C’è un’ora. 3 e 32. Ma, e può sembrare assurdo, indelicato, dirlo. Ma c’è. E ci sarà. Una distruzione ancora peggiore. Quella del lutto. Che deve esplodere - implodendo nella disperazione - dopo la rabbia, a tratti euforica, iniziale. Quella del ritorno, per chi deciderà di tornare. E non troverà più nulla come era prima. Quella progettuale. Quella familiare, anche.


Tragedie come questa, così estese nell’arco temporale di percezione umana, portano all’estrinsecazione di tutti i sentimenti possibili. L’amore si estremizza. Si estremizza l’odio. L’amore diventa odio. L’odio diventa amore. Cambia il modo che ognuno ha di percepire sé stesso. Di conseguenza, il suo contorno. Il gruppo primario e quello secondario entrano in crisi. Creativa o distruttiva, poco importa. Ma entrano in crisi. E non è la crisi di uno in un gruppo ampio composto da elementi in equilibrio. E’ la crisi, allo stesso tempo indifferenziata e non, di tutti i componenti di un gruppo/mondo. 
Crisi interiore. Crisi familiare. Crisi amicale. Crisi lavorativa/scolastica/universitaria. Ogni aspetto in ogni persona. Crisi multipla e moltiplicata.
Non è uno sguardo pessimista. Di fronte alla realtà vera non c’è ottimismo, né pessimismo, che tengano. Di fronte ad una realtà che sta cambiando, dalla notte di quel 6 aprile, tutte le ramificazioni personali e sociali di una intera provincia (il terremoto, è importante continuare a dirlo, non è terremoto d’Abruzzo ma dell’aquilano) c’è l’obbligo di scartare la retorica e di abbandonare i facili pietismi. C’è la necessità di non lasciarsi andare alla compassione. Patere cum. Adesso non serve. Chi non ha vissuto, chi non sta vivendo in prima persona questo evento deve farsi carico di una responsabilità civica diversa. C’è bisogno di comprensione. Andare oltre le immagini, la musica di sottofondo, le informazioni obbligate e incanalate. Dietro il grande evento mediatico, dietro i giorni dello spettacolo naturale c’è una mutazione geologica e sociale che verrà presto lasciata a se stessa. Al suo svolgersi da adesso in poi e per sempre.
A chi guarda da fuori si chiede di avere il coraggio di non parlare. Di non cercare di capire. A chi guarda da fuori si chiede di guardare. Di osservare. Senza pre-giudizi. Osservare. Non una tragedia. Ma un fatto.
Questo evento ha tempi non noti. Non ci è dato sapere. Dobbiamo imparare a riconsiderare la ciclicità quotidiana. Ripensare la progettualità. Ai sopravvissuti, a noi, si chiede una nuova Umanizzazione. Dovremo imparare ad accettare che le domande, che LA domanda, non trovi risposta. E in questo senso, nuovo, nostro, ritrovare la strada che la Terra, tremando, ha ferito ma che non ha interrotto.
“… siamo tutti destinati
a ripartire sempre …” (R. Cotroneo)
Le citazioni di Roberto Cotroneo sono tratte da “Questo amore”, Mondadori.