mercoledì 5 maggio 2010

...bella come sei, forse ancor di più


Da quella tragica notte del 6 aprile è ormai passato più di un anno. Le 3 e 32 rappresentano uno spartiacque tra il prima e il dopo. Il dopo è la nostra nuova vita, quella che ci vede attori consapevoli e allo stesso tempo allucinati di una catastrofe che non importa più sapere se annunciata o no. Qualunque cosa accada, qualunque responsabilità venga eventualmente riconosciuta, nulla ha il potere di far tornare questa città e quanti la abitano e vivono indietro nel tempo; cosa, comunque, in genere possibile praticamente mai.
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Si è scritto e parlato ovunque del terremoto, della distruzione, dei morti, degli sfollati. Se ne è parlato in tutti i modi possibili. Si è fatto ricorso alla retorica più immediata. Alla compassione patetica di tipo non etimologico. Se ne è parlato qui e ne hanno parlato in tutto mondo. Siamo stati e continuiamo ad essere, anche se ormai solo se capita, notizia. Di quelle che quando non succede a te ti fanno mettere da parte per un tempo infinito pari a secondi cinque l’irrisolvibile problema della signora che cammina con i tacchi al piano di sopra: “eccoli i veri drammi! Sono fortunata! Sono….ahhhhhh!!!!!!!! Tragedia!!!! Mi si è spezzata l’unghia!!!! Sono davvero perseguitata! Cooooome faròòòòòòò????????”
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Dicevo. C’è stato un prima. E oggi tutti facciamo a gara a ricordare. Ricordare L’Aquila. La città nascosta, come qualcuno si intestardisce a chiamarla. L’Aquila non è una città nascosta. I puntellamenti non celano. Sostengono e sorreggono. Quanto senza di loro probabilmente verrebbe giù. L’Aquila non è nascosta. L’Aquila è vittima. Di distruzione. L’Aquila è fisicamente distrutta. Questo deve essere chiaro. L’Aquila potrà guarire, nel senso che verrà ricostruita. Ma quella di prima non potrà tornare. Questo può essere visto solo in negativo, ragionando a livello emotivo. Razionalmente si può invece accettare che ci siamo trovati ad essere protagonisti di un momento di cambiamento estremo e conseguente, necessaria, transizione.
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Quando ho chiesto a mia figlia Vera di scrivere un articolo sulla città come se la ricordava mi ha stupita. Non mi ha parlato delle cose che non ci sono più o quasi. Non mi ha parlato della sua scuola. Non mi ha parlato dei portici, sotto i quali ha praticamente imparato a camminare. Mi ha parlato dei profumi e dei suoni della nostra natura. Con parole secche, senza ridondanze. E poi mi ha detto: “ma queste cose non è che me le ricordo, queste cose ci sono ancora”. Già pochi giorni dopo il terremoto mi aveva sorpreso il suo spirito di adattamento. Eravamo a Roma. Campidoglio. Sala Rossa. Due amici che da anni rimandavano un matrimonio, sull’onda della aq new philosophy si vive adesso e domani chissà, convolavano felici a giuste nozze e poi sorridenti si lasciavano fotografare ai Fori Imperiali. Quasi estate romana. Tramonto splendido. E Vera, di nuovo: “le cose rotte fanno storia…e sono anche belle, vero?”.
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Oggi nessuno. Nessuno. Oggi non trovi nessuno che ti dica una parola fuori posto parlando di questa città. La compassione di cui parlavo prima. Come quando muore qualcuno che non potevi vedere e piangendo lacrime che arrivano da non si sa dove balbetti tra i singhiozzi un “era una persona straordinariaaaaaaa!!!!!!!!!!!!”
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Quello che voglio dire è che l’attività della coscienza e la sfera emotiva determinano la forma che i ricordi assumono. Che ricordare eventi legati ad un luogo che non c’è più necessariamente altera il senso della realtà. Un certo Freud sosteneva che gli eventi successivi fanno assumere significati diversi alle tracce mnesiche. La combinazione, mai data in modo fisso, tra eventi sinaptici intrinseci alla rievocazione e gli eventi modificano il ricordo. Ricordare non è ripetere fedelmente esperienze ma rielaborare, ricatalogare, risignificare. Il ricordo non è una dolce e malinconica melodia in sottofondo. Il ricordo svolge una funzione precisa, nella nostra vita. Fondamentale. Il ricordo ci permette di adattare il passato al presente aprendoci al futuro. La funzione che svolge è di tipo biologico/adattiva.
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Il ricordo che abbiamo oggi è edulcorato dal rimpianto per quello che non abbiamo più, e che abbiamo perso in maniera tragica, inaspettata, velocissima.
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Questa la ragione del titolo. Mi ritorni in mente, L’Aquila. Bella. Bella come eri. Forse ancora di più. Che è come ricordare il primo amore, perso. Idealizzato. Oggi ricordare è ferirsi il cuore. Fa male. E poi fa bene. Fa male. E fa bene.
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A Vera Battisti e Mogol piacciono tanto e la canzone la canta in modo giusto.
A lei L’Aquila torna in mente. Ma bella com’è.
Lo è. Bella.
E tanto.
Tiziana Pasetti

lunedì 3 maggio 2010

La Natura non ci ha dimenticati...


(Incontro con la Dott.ssa Maddalena Dufrusine, Psicologa)
Ci sorridiamo al primo sguardo, Maddalena e io. Una psicologa, lei, e una sociologa, io. Che nell’immaginario collettivo è un po’ come dire cane e gatto. “Dici che ce la possiamo fare?” le chiedo scherzando.

domenica 2 maggio 2010

Indimenticabile e Infinito è questo Amore


(Incontro con Vincenzo Vittorini, Medico Chirurgo)
“Davanti agli ostacoli puoi fare due cose. Fermarti, tornare indietro e, quindi, regredire; oppure andare avanti e cercare di superarli”.
Un luogo comune, qualcuno potrebbe dire.
Forse.
Ma non questa volta. Queste non sono parole e basta. Queste sono le parole di un uomo che la notte del 6 aprile ha perso la moglie e la figlia.

Fragola e cioccolato


Se mi si diceva fumetto rispondevo Topolino.
Geppo, a voler ricordare. La Stefi. Mafalda.
L’ignoranza etimologica è un luogo della mente fantastico. E’ in quel posto lì che può capitare, se non lo sbarri a priori, di incontrare e continuare a conoscere. E il nuovo, se sei fortunato, ti può sorprendere. Arricchire.

sabato 1 maggio 2010

Un Sovrano al servizio del suo Popolo


(Incontro con Vittorio Sconci, Psichiatra)
Nella casetta in legno che ospita il suo studio, Vittorio Sconci ha messo un trono.
Di fronte, i suoi sudditi. O i suoi maestri.
Kennedy e Martin Luther King.
Li guarda, sorride.
Poi guarda me. “Allora, che vuoi?” mi chiede ironico.