sabato 1 maggio 2010

Un Sovrano al servizio del suo Popolo


(Incontro con Vittorio Sconci, Psichiatra)
Nella casetta in legno che ospita il suo studio, Vittorio Sconci ha messo un trono.
Di fronte, i suoi sudditi. O i suoi maestri.
Kennedy e Martin Luther King.
Li guarda, sorride.
Poi guarda me. “Allora, che vuoi?” mi chiede ironico.
Azzardo una domanda. Mi fulmina. Ricambio con un sorriso.
Si appoggia allo schienale del trono. Chiude gli occhi. E inizia a parlare.

“Il terremoto nei pazienti gravi ha cambiato poco o nulla. Di fronte alla catastrofe hanno reagito benissimo, mettendo in atto meccanismi difensivi di sopravvivenza. Nei pazienti nevrotici, invece, la reazione si è sviluppata in due fasi. In un primo momento si sono dispersi. Un po’ perché, all’inizio, lontani dalla città…ma anche perché, nei mesi appena successivi al fatto, altre emergenze e difficoltà hanno fatto passare la nevrosi in secondo piano. Ma dopo otto mesi circa si è vista riaffiorare la patologia. Si passa sempre e necessariamente attraverso un percorso di rielaborazione del lutto. Qui subentra il carattere. Chi non ha le forze per reagire cade.
In percentuale sono le donne che si rivolgono maggiormente al nostro centro…ma non perché più deboli…no…le donne sono di più semplicemente perché provano meno vergogna ad esprimere, a mostrare le proprie debolezze”.
“E’ un po’ come se ci trovassimo di fronte a due terremoti. Un terremoto della montagna e uno della costa. Non è stato positivo, l’allontanamento dalla città. Talora si è sviluppato un senso di impotenza e di passività. Le persone, in questo modo, regrediscono. Si adagiano. Si abituano a pensare che la soluzione dei loro problemi sia esterna. Che l’aiuto debba venire dagli altri. Qualcuno deve pensare a loro…sono vittime, no? NO! Il terremoto, come ogni grande catastrofe, naturale o meno, richiede un unico bisogno: essere pronti alla ricostruzione. Ma questo bisogno deve nascere dentro. Deve essere avvertito come una necessità, non come una fatica. Gli interventi di aiuto messi in atto in queste occasioni non devono assolutamente eliminare lo stato di necessità. Aver coccolato le persone ha significato molto. Ma anche in senso negativo. La coccola fa addormentare. Non stimola il bisogno, che deve essere forte, di cambiamento. La coccola porta all’assuefazione, all’accettazione, alla passività”.
La difficoltà che molte coppie stanno vivendo. Provo a spostare la sua attenzione su questo argomento. Apre gli occhi. Li richiude.
“In un primo momento, subito dopo il trauma, le coppie che erano in difficoltà hanno tentato un riavvicinamento nella speranza di superare gli ostacoli che avevano determinato gli insuccessi precedenti. Ma subito dopo il trauma stesso, lo stato di indigenza, di difficoltà…ebbene, tutto questo accentua gli attriti emotivi di collisione. Questo porta alla divisione, alla scissione della diade. In casi traumatici come quello accaduto lo scorso aprile o aumenta il legame oppure si scoppia. La crisi emerge. Esplode quella che era già manifesta, emerge quella che era latente”.
Cos’è che determina l’importanza, il peso, del trauma?
“L’entità del trauma dipende dalla persona. Tutto dipende dal vissuto. Dalla personalità. Non voglio essere crudo ma…parliamo in modo schietto…se l’uomo x ha costruito e incentrato tutta la sua vita, ogni progetto, sulla donna y e questa donna y viene a mancare è ovvio che tutta l’esistenza dell’uomo x crolla. Al contrario, se l’uomo x ha investito su se stesso, se si è costruito su più fronti…beh, è ovvio che il dolore c’è, e con il dolore non si scherza…però quest’ultimo avrà sicuramente più chance di ripresa, più veloci, più immediate. Il concetto di investimento non è banale, mai. Insomma, diciamolo. La vita è una questione estremamente complessa. Gli eventi brutti, negativi, mettono alla prova le nostre energie. E queste devono venire fuori. La vita è fatta di catastrofi alle quali, però, bisogna reagire”. 
“Certo, ci sono i modi per superare queste difficoltà. La terapia farmacologica. L’istituzione di gruppi di auto mutuo aiuto. Ma io voglio fare un passo avanti. Quello che è accaduto deve essere di insegnamento. Quella di questa città è un’esperienza che deve avere un valore propedeutico. Dobbiamo attivarci, tutti, per fare in modo che si possa creare un sistema città in grado di non provocare morti. Ormai le dietrologie, le lacrime, non servono a niente. Bisogna pensare in prospettiva. Bisogna dare vita ad una cultura nuova, perché se questa vita non la dotiamo di senso quella che ci aspetta è solo un’esistenza misera. Siamo stati fortunati. Se quella scossa fosse accaduta di giorno lo scenario sarebbe stato apocalittico. Una cultura anti-sismica. Per questa dobbiamo batterci. Per i nostri figli, per i nostri nipoti. Per noi stessi, per dotare di senso quanto sta accadendo. Questa non può rimanere una città priva di simboli. La Casa dello Studente. Deve essere un simbolo, una speranza per il futuro. In una città universitaria deve essere il perno intorno al quale tutto gira e non un palazzo riciclato di appartamenti ad uso civile, come è stato prima. Rischiamo di ricostruire senza cultura. E’ questo, QUESTO, porterà ad un aumento dei disagi sociali. Le sofferenze psichiche vanno prevenute! Una urbanizzazione senza logica, senza anima, senza scientificità…è un grande rischio. E tutti devono sapere una cosa importante: il Centro Storico ha retto. Noi non dobbiamo ricostruire una città. Noi dobbiamo ristrutturarla! Io la vedo la mia città. La sua fisionomia la vedo nella morfologia complessiva. Le persone, subito dopo il trauma, hanno retto. Si sono attivate. Poi sono state deresponsabilizzate, viziate, coccolate. No. Le persone devono essere attive. Responsabili. Protagoniste. La soluzione c’è. La soluzione è una modalità. Scientifica, E ha un nome: ricostruzione partecipata. In questa modalità le persone orientano le proprie scelte nell’ambito di discussioni paritarie tra le parti sociali, quelle politiche e quelle tecniche. Nella vita le cose serie non si possono, non si devono banalizzare. Bisogna percepire la complessità. Accettarla. Imparare a gestirla”.
(Al Dottor Sconci vanno i miei più sentiti ringraziamenti per la professionalità, l’umanità e la simpatia altissima)
Tiziana Pasetti
Tratto da "I Dimenticati", Gli Speciali del Capoluogo.it n°7 - maggio 2010